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sábado, 31 de dezembro de 2011

NANOTECNOLOGIE/ Una sfida vincente? La parola ai nipoti


Intervista a Leo Miglio

Le nanotecnologie sono considerate una delle cinque tecnologie chiave per lo sviluppo e l’innovazione europea dei prossimi dieci anni, come indicato dall’Agenda Europa 2020, e avranno un ruolo determinante nelle grandi sfide tecnologiche economiche e sociali del prossimo futuro: invecchiamento della popolazione, cambiamenti climatici, ottimizzazione dell’uso delle risorse (energia, acqua, cibo), tecnologie digitali e comunicazione globale, sviluppo di sistemi produttivi efficienti e sostenibili. 

È lo sfondo sul quale si sta svolgendo Mestre (Venezia) il congresso NanotechItaly, che è incentrato su questi temi: Nuovi materiali, Processi e Produzione, Salute e scienze della vita – Nanomedicina, Trasporto intelligente, Safe living, ICT & Nanoelettronica, Sviluppo Responsabile – nanotossicologia. A tal riguardo abbiamo intervistato il professor Leo Miglio, docente di Fisica dello Stato Solido e Nanotecnologie presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. 

Il congresso NanotechItaly si propone come sfida quella di usare le nanotecnologie per un’innovazione responsabile e sostenibile: di che cosa si tratta? 
Il concetto di “sostenibilità” è da riferirsi principalmente alle sorgenti di energia: un’innovazione è sostenibile se non consuma più energia di quanta ne produce e se non richiede un uso massiccio di sostanze rare. Si prendano ad esempio le celle solari: se l’energia che spendiamo per produrre nuove celle fosse maggiore di quella che loro stesse producono durante il loro ciclo di vita, questa non sarebbe un’innovazione sostenibile. D’altra parte, se ci fossero celle interamente realizzate in gallio, che è un elemento molto raro, in poco tempo finirebbe il gallio e con esso la nuova tecnologia; anche il petrolio non è una tecnologia rinnovabile! 
La responsabilità, invece, è una questione più filosofica: tutto si gioca nell’equilibrio tra il guadagno e il rischio dell’innovazione. Questo dipende in gran parte dal genere di prodotto di cui si parla: se un tessuto nanotecnologico, trattato ad esempio per essere reso anti-macchia, risulta essere inquinante occorre paragonare l’inquinamento dovuto al trattamento anti-macchia con il detersivo risparmiato. Se però si tratta di migliorare mediante le nanotecnologie la risoluzione di una lastra a raggi X, allora ci si permette di rischiare di più, nell’intento di fornire al paziente una diagnosi corretta salvaguardando la sua salute. 
In sintesi direi che un’innovazione si può definire responsabile e sostenibile se a distanza di due generazioni i nostri figli e i nostri nipoti ci ringrazieranno per averla adottata. 

Le nanotecnologie sono un soggetto adeguato a una simile sfida? 
Possono esserlo. Rispetto però a tecnologie più consolidate, da un lato presentano più opportunità, dall’altro è più difficile individuarne i rischi. Ad esempio per quanto riguarda i polmoni, conosciamo l’impatto delle sostanze chimiche, ma non quello dei nanotubi di carbonio. Le nanotecnologie sono un soggetto adeguato senza precedenti per l’innovazione, ma la novità che è la loro forza, è anche la loro debolezza. 

In quali ambiti le nanotecnologie possono rivelarsi una soluzione vincente? 
Innanzitutto possiamo osservare in quali ambiti hanno già dimostrato di essere una soluzione vincente: al primo posto vanno indubbiamente la microelettronica e l’optoelettronica, mondi in cui i componenti fondamentali dei dispositivi hanno raggiunto da tempo le dimensioni nanometriche. 
Da diversi anni le nanoparticelle vengono utilizzate nei prodotti cosmetici, come le creme idratanti. A livelli meno avanzati, invece, è l’industria farmaceutica. Catalizzatori industriali nanotecnologici sono recentemente entrati sul mercato con gli elettrodi delle batterie al litio, la cui superficie viene aumentata grazie a un ricoprimento di nanofili. Ultimamente ci sono applicazioni anche nella produzione di imballaggi alimentari: per prevenire l’insorgere di ossidazioni si inseriscono strati di nanoparticelle, detti film, di argilla nell’involucro che avvolge il prodotto. Sono stati realizzati anche imballaggi impermeabili ai gas, mentre le nanoparticelle di argento sono ormai ampiamente utilizzate per le loro proprietà antimicrobiche
Per il futuro speriamo che arrivino presto gli incapsulanti per i pesticidi e i medicinali: si tratta di gusci nanometrici forniti di recettori esterni che permettono di riconoscere le caratteristiche dell’ambiente in cui si trovano e di aprirsi solo quando abbiano raggiunto il luogo per cui sono stati programmati: le foglie delle piante piuttosto che le cellule tumorali. 

La realizzazione di oggetti nanostrutturati prevede due principali approcci: “bottom-up”(costruzione di nanostrutture a partire da mattoni più piccoli, atomi o molecole) e “top-down” (lavorazione di materiali in cui vengono “scavate” strutture nanometriche): quale ritiene possa rispondere meglio alla sfida? 
Queste due tecniche presentano grosse differenze, che si ripercuotono sul loro utilizzo. La micro e la nanoelettronica vengono realizzate con tecniche di tipo top-down: questi processi sono molto costosi ma se il valore aggiunto del prodotto finale è alto, non sono sprecati. Per esempio, nel caso dei componenti microelettronici che andranno a far funzionare un i-Pod il valore aggiunto del prodotto è assicurato. 
Facciamo un altro esempio chiarificatore: si decide di sviluppare un nuovo sacchetto trasparente per il pane che gli permetta di rilasciare l’umidità durante la giornata, senza essere ermetico, cosa che renderebbe il pane molle, e senza nemmeno lasciar passare troppa aria, altrimenti il pane si seccherebbe. 
Invece di utilizzare carta o plastica, si decide di realizzare un materiale nanostrutturato con pori che lascino passare le molecole di vapore acqueo senza permettere che entrino agenti biologici contaminanti, così il pane può durare due giorni anche a Bangkok! In questo caso sarebbe inopportuno utilizzare tecniche top-down: essendo basso il costo del prodotto, è preferibile una tecnica bottom-up, meno controllabile ma molto meno costosa. La scelta, dunque, dipende dalla natura del prodotto: le tecniche top-down permettono una maggior precisione ma hanno un costo elevato; viceversa le tecniche bottom-up hanno minor controllo del dettaglio ma costi più contenuti.
Autore: Anna Giorgioni